La disamina parte da alcuni cenni su figure dedicate alla “tutela penale dei segni distintivi” rimaste sostanzialmente inapplicate o depenalizzate (art. 67 legge sui marchi, n. 929/1941). In particolare l’analisi si concentra sulla inafferrabilità e “nebulosità” del concetto di “nocumento all’industria nazionale” contenuto nel delitto “frodi contro le industrie nazionali” che rendono sostanzialmente impraticabile qualsiasi applicazione di tale articolo. L’Autore esamina i rapporti che le fattispecie penali in materia intessono con la disciplina civilistica di riferimento, in primo luogo, ai fini dell’indagine sul piano della tipicità e dell’identificazione del bene giuridico protetto che non possono che derivare dalla ricostruzione della “funzione” giuridicamente protetta dal marchio. Così per esempio si rileva come la tradizionale concezione del marchio quale indicatore della “costante provenienza aziendale” sia stato notevolmente modificato a seguito della novella del 1992 introdotta sulla base della Direttiva CE 21 dicembre 1988. La disciplina è diventata più duttile ed elastica e acquista rilievo la prospettiva di evitare messaggi ingannevoli per il pubblico. L’analisi prosegue con una esegesi critica delle fattispecie incriminatici dei fatti di contraffazione e alterazione (artt. 473 e 474 c.p.) con particolare riferimento alla nozione di “marchi e segni distintivi”, al requisito della registrazione, alle condotte incriminate, al c.d. “marchio di rinomanza”. Si esaminano poi i rapporti delle disposizioni sopra descritte con il delitto di ricettazione - criticando la soluzione che ravvisa tra le due norme un concorso materiale - e con quello di “vendita di prodotti industriali con segni mendaci” (art. 517 c.p.), del quale si sottolinea, tra l’altro, il parametro per valutare l’attitudine recettiva dei segni ovvero la capacità di incidere sulla rappresentazione del consumatore medio di quel tipo di prodotto.
Tutela penale dei segni distintivi
ALESSANDRI, ALBERTO
1998
Abstract
La disamina parte da alcuni cenni su figure dedicate alla “tutela penale dei segni distintivi” rimaste sostanzialmente inapplicate o depenalizzate (art. 67 legge sui marchi, n. 929/1941). In particolare l’analisi si concentra sulla inafferrabilità e “nebulosità” del concetto di “nocumento all’industria nazionale” contenuto nel delitto “frodi contro le industrie nazionali” che rendono sostanzialmente impraticabile qualsiasi applicazione di tale articolo. L’Autore esamina i rapporti che le fattispecie penali in materia intessono con la disciplina civilistica di riferimento, in primo luogo, ai fini dell’indagine sul piano della tipicità e dell’identificazione del bene giuridico protetto che non possono che derivare dalla ricostruzione della “funzione” giuridicamente protetta dal marchio. Così per esempio si rileva come la tradizionale concezione del marchio quale indicatore della “costante provenienza aziendale” sia stato notevolmente modificato a seguito della novella del 1992 introdotta sulla base della Direttiva CE 21 dicembre 1988. La disciplina è diventata più duttile ed elastica e acquista rilievo la prospettiva di evitare messaggi ingannevoli per il pubblico. L’analisi prosegue con una esegesi critica delle fattispecie incriminatici dei fatti di contraffazione e alterazione (artt. 473 e 474 c.p.) con particolare riferimento alla nozione di “marchi e segni distintivi”, al requisito della registrazione, alle condotte incriminate, al c.d. “marchio di rinomanza”. Si esaminano poi i rapporti delle disposizioni sopra descritte con il delitto di ricettazione - criticando la soluzione che ravvisa tra le due norme un concorso materiale - e con quello di “vendita di prodotti industriali con segni mendaci” (art. 517 c.p.), del quale si sottolinea, tra l’altro, il parametro per valutare l’attitudine recettiva dei segni ovvero la capacità di incidere sulla rappresentazione del consumatore medio di quel tipo di prodotto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.