Dal primo trentennio dell'Ottocento il sistema musicale e operistico italiano è scosso dall'urgenza di rispondere artisticamente al rinnovamento critico, stilistico e filosofico che investe la musica europea. Attorno a questa istanza si addensa un piccolo nucleo di artisti e mediatori, caratterizzato da una forte coesione ideologica e intellettuale, ma anche artistica ed economica, ossia portatrice di un'idea precisa delle economie dell'arte, capace di catturare la scena nazionale e di reggere la sfida di una nuova centralità dell'opera italiana nel mondo. Giuseppe Verdi e il suo editore Giulio Ricordi sono i capofila del gruppo, seguiti da pochi altri. Ma cosa vuol dire per un musicista non affermato tentare la carriera artistica in un sistema progressivamente e fermamente dominato da pochi? L'ipotesi da cui parte il presente lavoro è che il nervosismo e la suscettibilità denunciati dai compositori 'minori' non siano semplici segnali di una mal dominata soggettività, bensì la conseguenza di un cambiamento nello statuto dell'arte e dell'artista che segna la modernizzazione del sistema istitutivo dell'arte operistica in Italia. La ricostruzione che proponiamo si appoggia su due fonti complementari: il libro dei contratti di acquisto delle opere teatrali da parte dell'editore Ricordi nel periodo 1838-1892 e circa 1.000 lettere inviate da una selezione di dieci compositori alla casa editrice negli stessi anni.

Fare musica tra i giganti: percorsi nell'opera italiana dell'Ottocento

FORTI, LAURA;BAIA CURIONI, STEFANO
2014

Abstract

Dal primo trentennio dell'Ottocento il sistema musicale e operistico italiano è scosso dall'urgenza di rispondere artisticamente al rinnovamento critico, stilistico e filosofico che investe la musica europea. Attorno a questa istanza si addensa un piccolo nucleo di artisti e mediatori, caratterizzato da una forte coesione ideologica e intellettuale, ma anche artistica ed economica, ossia portatrice di un'idea precisa delle economie dell'arte, capace di catturare la scena nazionale e di reggere la sfida di una nuova centralità dell'opera italiana nel mondo. Giuseppe Verdi e il suo editore Giulio Ricordi sono i capofila del gruppo, seguiti da pochi altri. Ma cosa vuol dire per un musicista non affermato tentare la carriera artistica in un sistema progressivamente e fermamente dominato da pochi? L'ipotesi da cui parte il presente lavoro è che il nervosismo e la suscettibilità denunciati dai compositori 'minori' non siano semplici segnali di una mal dominata soggettività, bensì la conseguenza di un cambiamento nello statuto dell'arte e dell'artista che segna la modernizzazione del sistema istitutivo dell'arte operistica in Italia. La ricostruzione che proponiamo si appoggia su due fonti complementari: il libro dei contratti di acquisto delle opere teatrali da parte dell'editore Ricordi nel periodo 1838-1892 e circa 1.000 lettere inviate da una selezione di dieci compositori alla casa editrice negli stessi anni.
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