Da quando il “postmodernismo” ha iniziato a diffondersi tra gli studiosi come una nuova concezione filosofico-scientifica, anche nell’economia d’impresa, sia pure con differenza di accento fra le su componenti, si è avviato un dibattito intorno ad una nuova interpretazione dei temi affrontati e della disciplina, che apre nuovi orizzonti agli studiosi, e potrebbe avere interessanti sviluppi, così come sta succedendo in altri campi disciplinari. In un’ipotesi estrema il suo impatto potrebbe essere talmente forte da far riconsiderare non soltanto i contenuti dell’economia d’impresa nella sua dimensione accademica, ma anche la sua teoria e i metodi di ricerca di cui si avvale. L’adozione della visione postmoderna del mondo, infatti, mette in discussione il concetto di verità e di ogni altra certezza su cui si è sviluppato precedentemente il “modernismo”, e richiede una complessa ridefinizione del processo di ricerca. In questo lavoro, si tenta di interpretare l’epistemologia della specifica disciplina d’impresa “marketing”, partendo dall’analisi della letteratura così come si è sviluppata fino ad oggi, e creando continuamente collegamenti fra il piano dell’elaborazione filosofica e quello della ricerca nel marketing. La review della letteratura di marketing e la sua evoluzione fin dalla nascita negli anni Cinquanta evidenzia una chiara impostazione “moderna” – laddove per moderno si fa riferimento a una visione del mondo ben precisa, priva di ogni significato positivo che è tradizionalmente attribuito a tale termine – dalla cui accettazione derivano i principi e i concetti di marketing oggi generalmente condivisi. Nonostante alcuni autori si siano alzati a criticare i concetti principali del marketing nel corso degli anni – primi fra tutti gli studiosi del marketing relazionale e quelli del marketing esperienziale –, le loro osservazioni sono ancora prevalentemente caratterizzate da una visione del mondo “moderna”. L’analisi dell’epistemologia del marketing, infatti, offre lo spunto per l’approfondimento del pensiero oggi prevalente, il “modernismo” appunto, e del nuovo pensiero “postmoderno”. L’excursus critico su questi sistemi di pensiero permette di affrontarne meglio le fondamenta epistemologiche, al fine di proporre alcune prime riflessioni sul loro impatto sulla disciplina del marketing, in virtù della considerazione che l’adozione di un sistema di pensiero, sia esso moderno o postmoderno, implica anche l’adozione dell’epistemologia ad esso correlata. Nell’ipotesi in cui il postmodernismo si affermasse, infatti, il marketing non potrebbe più assumere gli attuali lineamenti e contenuti e difendere le sue impostazioni, consolidatesi nell’ultimo cinquantennio. Lo sviluppo della disciplina si è fondato sul tentativo di apportare costantemente alle imprese contributi idonei a sviluppare approcci di successo ai mercati. I contenuti del marketing sono stati oggetto di un processo di continuo affinamento, finalizzato soprattutto a fornire supporto al management. L’analisi condotta in queste pagine evidenzia come l’estrema finalizzazione del marketing abbia parzialmente distolto l’attenzione degli studiosi dalla teoria, rivolgendola soprattutto al metodo: si è cioè sviluppato un meccanismo perverso per il quale la scientificità della disciplina veniva garantita dall’utilizzo di metodi scientifici ipotizzati come universali e immutabili. Il focus sul metodo, derivato dalla necessità di rendere il marketing una disciplina di status accademico, ha generato una distinzione sempre più evidente fra una letteratura di marketing destinata al management ed una letteratura di marketing destinata alla comunità accademica. Mentre la prima tende a evidenziare le implicazioni manageriali del contributo (e quindi operative, concrete), la seconda invece insiste prevalentemente sull’adozione di un metodo scientifico che, in contesti ad elevata complessità, si accompagna spesso ad una eccessiva specializzazione, ancorché sorretta da una sofisticata modellizzazione. Estremizzando, quindi, l’adozione del postmodernismo potrebbe risolversi in una critica ad aspetti importanti della “scientificità” del marketing come campo d’indagine, almeno nel senso fino ad ora accettato. Una tale critica è lungi dal minacciare l’esistenza del marketing, ma piuttosto conduce ad un dirompente ripensamento della disciplina. Il pensiero postmoderno, infatti, mette in luce il ruolo dell’esperienza nella costruzione della teoria: il metodo torna ad essere a supporto della teoria e non il contrario. Questo ri-bilanciamento di ruoli significa per gli studiosi perdere molti criteri consolidati per valutare e giudicare una teoria, e la necessità di riconsiderare il senso del loro lavoro, e – non ultimo – ridefinire le loro responsabilità. Anche il marketing, cambiando veste, perde l’aurea di scienza per divenire un corpo di conoscenze creato dall’uomo e per l’uomo. Sia il ricercatore sia la disciplina sono investiti di un compito molto rischioso, ma al contempo anche molto sfidante. La sottrazione del riferimento all’oggettività – o alla pseudo-oggettività – del metodo al quadro di riferimento utilizzato dallo studioso per valutare ogni ricerca implica la sottrazione di ogni supporto standardizzato ed esterno all’attività di ricerca. Lo studioso, che si trova così privo di un ancoraggio ad uno standard è coinvolto in una sfida rischiosa. L’ancoraggio al metodo, alla sua scientificità e al suo rigore, infatti, ha tradizionalmente costituito una rete di sicurezza per lo studioso: il rispetto dei canali standard e condivisi a livello della comunità accademica forniva una garanzia della qualità del lavoro svolto e della sua accettazione fra il pubblico di riferimento. Al contempo, però, quella stessa rete di salvataggio diventava anche la gabbia del ricercatore, al di fuori della quale non era consentito andare, pena la delegittimazione accademica del ricercatore. Abbracciare il postmodernismo fino in fondo significa, invece, abbandonare ogni rete e ogni gabbia, richiedendo al ricercatore di rischiare molto di più ma anche di essere – finalmente – libero: libero da ogni schema, da ogni dicotomia, persino dalla scelta fra vero e falso, e quindi in grado di fare l’esperienza che vuole, come vuole. Esiste quindi soltanto un criterio per valutare la ricerca: l’arricchimento che l’esperienza della ricerca – ma non solo – vissuta dal ricercatore, procura alla conoscenza del singolo e della collettività. E’ evidente che il processo di generazione di conoscenza è senza fine e inarrestabile, perché più l’uomo (e la collettività) si arricchisce, in senso lato apprende, e più si accorge di non sapere. Conoscenza “chiama” conoscenza.

Il Postmodernismo: Alla Ricerca dell’Introvabile

PODESTA', STEFANO;ADDIS, MICHELA
2003

Abstract

Da quando il “postmodernismo” ha iniziato a diffondersi tra gli studiosi come una nuova concezione filosofico-scientifica, anche nell’economia d’impresa, sia pure con differenza di accento fra le su componenti, si è avviato un dibattito intorno ad una nuova interpretazione dei temi affrontati e della disciplina, che apre nuovi orizzonti agli studiosi, e potrebbe avere interessanti sviluppi, così come sta succedendo in altri campi disciplinari. In un’ipotesi estrema il suo impatto potrebbe essere talmente forte da far riconsiderare non soltanto i contenuti dell’economia d’impresa nella sua dimensione accademica, ma anche la sua teoria e i metodi di ricerca di cui si avvale. L’adozione della visione postmoderna del mondo, infatti, mette in discussione il concetto di verità e di ogni altra certezza su cui si è sviluppato precedentemente il “modernismo”, e richiede una complessa ridefinizione del processo di ricerca. In questo lavoro, si tenta di interpretare l’epistemologia della specifica disciplina d’impresa “marketing”, partendo dall’analisi della letteratura così come si è sviluppata fino ad oggi, e creando continuamente collegamenti fra il piano dell’elaborazione filosofica e quello della ricerca nel marketing. La review della letteratura di marketing e la sua evoluzione fin dalla nascita negli anni Cinquanta evidenzia una chiara impostazione “moderna” – laddove per moderno si fa riferimento a una visione del mondo ben precisa, priva di ogni significato positivo che è tradizionalmente attribuito a tale termine – dalla cui accettazione derivano i principi e i concetti di marketing oggi generalmente condivisi. Nonostante alcuni autori si siano alzati a criticare i concetti principali del marketing nel corso degli anni – primi fra tutti gli studiosi del marketing relazionale e quelli del marketing esperienziale –, le loro osservazioni sono ancora prevalentemente caratterizzate da una visione del mondo “moderna”. L’analisi dell’epistemologia del marketing, infatti, offre lo spunto per l’approfondimento del pensiero oggi prevalente, il “modernismo” appunto, e del nuovo pensiero “postmoderno”. L’excursus critico su questi sistemi di pensiero permette di affrontarne meglio le fondamenta epistemologiche, al fine di proporre alcune prime riflessioni sul loro impatto sulla disciplina del marketing, in virtù della considerazione che l’adozione di un sistema di pensiero, sia esso moderno o postmoderno, implica anche l’adozione dell’epistemologia ad esso correlata. Nell’ipotesi in cui il postmodernismo si affermasse, infatti, il marketing non potrebbe più assumere gli attuali lineamenti e contenuti e difendere le sue impostazioni, consolidatesi nell’ultimo cinquantennio. Lo sviluppo della disciplina si è fondato sul tentativo di apportare costantemente alle imprese contributi idonei a sviluppare approcci di successo ai mercati. I contenuti del marketing sono stati oggetto di un processo di continuo affinamento, finalizzato soprattutto a fornire supporto al management. L’analisi condotta in queste pagine evidenzia come l’estrema finalizzazione del marketing abbia parzialmente distolto l’attenzione degli studiosi dalla teoria, rivolgendola soprattutto al metodo: si è cioè sviluppato un meccanismo perverso per il quale la scientificità della disciplina veniva garantita dall’utilizzo di metodi scientifici ipotizzati come universali e immutabili. Il focus sul metodo, derivato dalla necessità di rendere il marketing una disciplina di status accademico, ha generato una distinzione sempre più evidente fra una letteratura di marketing destinata al management ed una letteratura di marketing destinata alla comunità accademica. Mentre la prima tende a evidenziare le implicazioni manageriali del contributo (e quindi operative, concrete), la seconda invece insiste prevalentemente sull’adozione di un metodo scientifico che, in contesti ad elevata complessità, si accompagna spesso ad una eccessiva specializzazione, ancorché sorretta da una sofisticata modellizzazione. Estremizzando, quindi, l’adozione del postmodernismo potrebbe risolversi in una critica ad aspetti importanti della “scientificità” del marketing come campo d’indagine, almeno nel senso fino ad ora accettato. Una tale critica è lungi dal minacciare l’esistenza del marketing, ma piuttosto conduce ad un dirompente ripensamento della disciplina. Il pensiero postmoderno, infatti, mette in luce il ruolo dell’esperienza nella costruzione della teoria: il metodo torna ad essere a supporto della teoria e non il contrario. Questo ri-bilanciamento di ruoli significa per gli studiosi perdere molti criteri consolidati per valutare e giudicare una teoria, e la necessità di riconsiderare il senso del loro lavoro, e – non ultimo – ridefinire le loro responsabilità. Anche il marketing, cambiando veste, perde l’aurea di scienza per divenire un corpo di conoscenze creato dall’uomo e per l’uomo. Sia il ricercatore sia la disciplina sono investiti di un compito molto rischioso, ma al contempo anche molto sfidante. La sottrazione del riferimento all’oggettività – o alla pseudo-oggettività – del metodo al quadro di riferimento utilizzato dallo studioso per valutare ogni ricerca implica la sottrazione di ogni supporto standardizzato ed esterno all’attività di ricerca. Lo studioso, che si trova così privo di un ancoraggio ad uno standard è coinvolto in una sfida rischiosa. L’ancoraggio al metodo, alla sua scientificità e al suo rigore, infatti, ha tradizionalmente costituito una rete di sicurezza per lo studioso: il rispetto dei canali standard e condivisi a livello della comunità accademica forniva una garanzia della qualità del lavoro svolto e della sua accettazione fra il pubblico di riferimento. Al contempo, però, quella stessa rete di salvataggio diventava anche la gabbia del ricercatore, al di fuori della quale non era consentito andare, pena la delegittimazione accademica del ricercatore. Abbracciare il postmodernismo fino in fondo significa, invece, abbandonare ogni rete e ogni gabbia, richiedendo al ricercatore di rischiare molto di più ma anche di essere – finalmente – libero: libero da ogni schema, da ogni dicotomia, persino dalla scelta fra vero e falso, e quindi in grado di fare l’esperienza che vuole, come vuole. Esiste quindi soltanto un criterio per valutare la ricerca: l’arricchimento che l’esperienza della ricerca – ma non solo – vissuta dal ricercatore, procura alla conoscenza del singolo e della collettività. E’ evidente che il processo di generazione di conoscenza è senza fine e inarrestabile, perché più l’uomo (e la collettività) si arricchisce, in senso lato apprende, e più si accorge di non sapere. Conoscenza “chiama” conoscenza.
2003
Podesta', Stefano; Addis, Michela
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