L’Asia orientale è indubbiamente divenuta l’area più dinamica del pianeta. Dal 1950 ad oggi, i paesi in via di sviluppo dell’Estremo Oriente asiatico, complessivamente considerati, hanno pressoché raddoppiato la loro incidenza sul prodotto interno lordo mondiale, a scapito principalmente dei paesi occidentali industrializzati e di quelli appartenenti al blocco ex sovietico. Parallelamente, è aumentata la loro incidenza sulle esportazioni mondiali nonché sui flussi finanziari e d’investimento planetari. In quest’ambito si inquadra il «risveglio» dell’India, paese che ha saputo costruire la più grande democrazia al mondo, malgrado gli ostacoli posti dall’analfabetismo, dal pluralismo linguistico e religioso, dalla varietà etnica e sociale. Diversamente da quella cinese, la «via indiana» allo sviluppo si basa sul mercato interno più che sulle esportazioni (il peso dell’India sull’export mondiale di beni e servizi si aggira intorno al 2%), sui consumi più che sugli investimenti, sui servizi ad alta tecnologia più che sull’industria manifatturiera (il terziario contribuisce alla formazione del Pil in misura superiore al 50%, anche se la stragrande maggioranza della popolazione è impiegata nell’agricoltura). Come nel caso della Cina, però, la svolta è stata impressa dalla politica che, anche per effetto della pressione esercitata dal Fondo monetario internazionale, a partire dal 1991 ha inaugurato un corso di importanti riforme con lo scopo di modificare l’assetto economico adottato dallo Stato all’indomani della liberazione dal dominio coloniale britannico (1947). Da economia «socialisticheggiante» rigidamente pianificata (ispirata in parte al modello sovietico), l’India ha trasformato il vecchio sistema protezionistico, in mano pubblica e fortemente burocratizzato, in un sistema di mercato sul modello occidentale. Ciò è stato perseguito indirizzando gli sforzi in tre direzioni. Innanzitutto, privatizzando molte imprese e deregolamentando parecchie attività monopolizzate, favorendo così l’iniziativa privata; in secondo luogo, riducendo le spese pubbliche, smantellando o comunque riducendo aiuti e sovvenzioni, adottando un regime fiscale favorevole all’impresa privata; infine, stimolando massicci investimenti sia nazionali che esteri
Passaggio in India per le imprese italiane: l'esperienza di Ferrero
BERTOLI, GIUSEPPE;
2009
Abstract
L’Asia orientale è indubbiamente divenuta l’area più dinamica del pianeta. Dal 1950 ad oggi, i paesi in via di sviluppo dell’Estremo Oriente asiatico, complessivamente considerati, hanno pressoché raddoppiato la loro incidenza sul prodotto interno lordo mondiale, a scapito principalmente dei paesi occidentali industrializzati e di quelli appartenenti al blocco ex sovietico. Parallelamente, è aumentata la loro incidenza sulle esportazioni mondiali nonché sui flussi finanziari e d’investimento planetari. In quest’ambito si inquadra il «risveglio» dell’India, paese che ha saputo costruire la più grande democrazia al mondo, malgrado gli ostacoli posti dall’analfabetismo, dal pluralismo linguistico e religioso, dalla varietà etnica e sociale. Diversamente da quella cinese, la «via indiana» allo sviluppo si basa sul mercato interno più che sulle esportazioni (il peso dell’India sull’export mondiale di beni e servizi si aggira intorno al 2%), sui consumi più che sugli investimenti, sui servizi ad alta tecnologia più che sull’industria manifatturiera (il terziario contribuisce alla formazione del Pil in misura superiore al 50%, anche se la stragrande maggioranza della popolazione è impiegata nell’agricoltura). Come nel caso della Cina, però, la svolta è stata impressa dalla politica che, anche per effetto della pressione esercitata dal Fondo monetario internazionale, a partire dal 1991 ha inaugurato un corso di importanti riforme con lo scopo di modificare l’assetto economico adottato dallo Stato all’indomani della liberazione dal dominio coloniale britannico (1947). Da economia «socialisticheggiante» rigidamente pianificata (ispirata in parte al modello sovietico), l’India ha trasformato il vecchio sistema protezionistico, in mano pubblica e fortemente burocratizzato, in un sistema di mercato sul modello occidentale. Ciò è stato perseguito indirizzando gli sforzi in tre direzioni. Innanzitutto, privatizzando molte imprese e deregolamentando parecchie attività monopolizzate, favorendo così l’iniziativa privata; in secondo luogo, riducendo le spese pubbliche, smantellando o comunque riducendo aiuti e sovvenzioni, adottando un regime fiscale favorevole all’impresa privata; infine, stimolando massicci investimenti sia nazionali che esteriI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.