Negli ultimi anni l’interesse per il capitale sociale è cresciuto esponenzialmente, inducendo sociologi, economisti e politologi a interrogarsi sul perché il capitale sociale sia diventato importante. Al riguardo, sembra opportuno richiamare la risposta fornita da due tra gli studiosi che per primi si sono occupati di capitale sociale: Antonio Mutti e Carlo Trigilia. Entrambi gli autori sottolineano come, negli ultimi decenni, gli studi sulla globalizzazione abbiano mostrato come tale fenomeno, invece di omogeneizzare i percorsi di modernizzazione, abbia determinato delle differenze significative nei processi di sviluppo: alcuni territori riescono ad avviare e sviluppare percorsi di sviluppo, mentre in altri contesti si assiste ad un progressivo sradicamento territoriale delle attività economiche (Mutti, 1998; Trigilia, 2005). Pertanto, sembra plausibile chiedersi per quali ragioni alcuni paesi sembrino maggiormente dinamici di altri e, di conseguenza, interrogarsi sul modo in cui le dimensioni economica, culturale, istituzionale e politica influiscano sui percorsi di sviluppo. Pur permanendo la difficoltà diffusa di elaborare teorie integrate e multidimensionali in grado di spiegare in che modo le differenti dimensioni influenzino i diversi percorsi di sviluppo, il concetto di capitale sociale ha indiscutibilmente assunto un ruolo fondamentale nelle teorie dello sviluppo, sostituendo, in molti casi, concetti utilizzati in passato come, ad esempio, fiducia o reti di relazioni. Il successo del sintagma capitale sociale nelle riflessioni e negli studi sul capitale sociale negli ultimi anni giustifica, pertanto, la scelta di interrogarsi sul senso che ha assunto il capitale sociale nei processi di sviluppo. Nello specifico, il paper si prefigge di analizzare il senso che ha assunto il capitale sociale nelle politiche di sviluppo per comprendere, per quanto possibile, se l’utilizzo di tale sintagma abbia determinato effettivamente un valore aggiunto rispetto alle altre parole impiegate in precedenza. In considerazione di ciò, sembra legittimo e opportuno chiedersi se esista un’unica definizione di “capitale sociale” buona per tutti. Ovviamente, non si tratta di una questione meramente linguistica, ma di una domanda finalizzata a capire se, utilizzando il concetto di “capitale sociale”, gli studiosi si rifacciano ad un’idea condivisa o, viceversa, richiamino significati differenti. A tal fine, si propone un percorso di lettura dei “classici della letteratura del capitale sociale” che esplora il significato di “capitale sociale” a partire dalla riflessione sulle differenti definizioni di capitale sociale per concludere, successivamente, con alcune considerazioni su alcuni capisaldi del concetto di capitale sociale. Per perseguire l’obiettivo conoscitivo prefissato, il lavoro è organizzato nel seguente modo: la prima parte risale alla genesi del concetto di capitale sociale presentando, innanzitutto, la visione proposta da Coleman e, nel contempo, affiancandole definizioni preesistenti ad opera di autori unanimemente citati come ideatori del concetto di capitale sociale, con particolare attenzione per Loury (1977) e Bourdieu (1980); la seconda parte si prefigge di analizzare i primi sviluppi del concetto di capitale sociale: Putnam e Fukuyama nel panorama globale, Mutti, Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia (e altri) nel panorama italiano. L’obiettivo di tale riflessione è individuare una definizione convincente e condivisa di quello che si intende per capitale sociale; la terza parte concentra infine l’attenzione su tre aspetti del capitale sociale – relazioni, fiducia, organizzazioni – che emergono con particolare evidenza dalle definizioni del concetto analizzate.

IL CONCETTO DI CAPITALE SOCIALE: UNO, NESSUNO, CENTOMILA ?

2009

Abstract

Negli ultimi anni l’interesse per il capitale sociale è cresciuto esponenzialmente, inducendo sociologi, economisti e politologi a interrogarsi sul perché il capitale sociale sia diventato importante. Al riguardo, sembra opportuno richiamare la risposta fornita da due tra gli studiosi che per primi si sono occupati di capitale sociale: Antonio Mutti e Carlo Trigilia. Entrambi gli autori sottolineano come, negli ultimi decenni, gli studi sulla globalizzazione abbiano mostrato come tale fenomeno, invece di omogeneizzare i percorsi di modernizzazione, abbia determinato delle differenze significative nei processi di sviluppo: alcuni territori riescono ad avviare e sviluppare percorsi di sviluppo, mentre in altri contesti si assiste ad un progressivo sradicamento territoriale delle attività economiche (Mutti, 1998; Trigilia, 2005). Pertanto, sembra plausibile chiedersi per quali ragioni alcuni paesi sembrino maggiormente dinamici di altri e, di conseguenza, interrogarsi sul modo in cui le dimensioni economica, culturale, istituzionale e politica influiscano sui percorsi di sviluppo. Pur permanendo la difficoltà diffusa di elaborare teorie integrate e multidimensionali in grado di spiegare in che modo le differenti dimensioni influenzino i diversi percorsi di sviluppo, il concetto di capitale sociale ha indiscutibilmente assunto un ruolo fondamentale nelle teorie dello sviluppo, sostituendo, in molti casi, concetti utilizzati in passato come, ad esempio, fiducia o reti di relazioni. Il successo del sintagma capitale sociale nelle riflessioni e negli studi sul capitale sociale negli ultimi anni giustifica, pertanto, la scelta di interrogarsi sul senso che ha assunto il capitale sociale nei processi di sviluppo. Nello specifico, il paper si prefigge di analizzare il senso che ha assunto il capitale sociale nelle politiche di sviluppo per comprendere, per quanto possibile, se l’utilizzo di tale sintagma abbia determinato effettivamente un valore aggiunto rispetto alle altre parole impiegate in precedenza. In considerazione di ciò, sembra legittimo e opportuno chiedersi se esista un’unica definizione di “capitale sociale” buona per tutti. Ovviamente, non si tratta di una questione meramente linguistica, ma di una domanda finalizzata a capire se, utilizzando il concetto di “capitale sociale”, gli studiosi si rifacciano ad un’idea condivisa o, viceversa, richiamino significati differenti. A tal fine, si propone un percorso di lettura dei “classici della letteratura del capitale sociale” che esplora il significato di “capitale sociale” a partire dalla riflessione sulle differenti definizioni di capitale sociale per concludere, successivamente, con alcune considerazioni su alcuni capisaldi del concetto di capitale sociale. Per perseguire l’obiettivo conoscitivo prefissato, il lavoro è organizzato nel seguente modo: la prima parte risale alla genesi del concetto di capitale sociale presentando, innanzitutto, la visione proposta da Coleman e, nel contempo, affiancandole definizioni preesistenti ad opera di autori unanimemente citati come ideatori del concetto di capitale sociale, con particolare attenzione per Loury (1977) e Bourdieu (1980); la seconda parte si prefigge di analizzare i primi sviluppi del concetto di capitale sociale: Putnam e Fukuyama nel panorama globale, Mutti, Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia (e altri) nel panorama italiano. L’obiettivo di tale riflessione è individuare una definizione convincente e condivisa di quello che si intende per capitale sociale; la terza parte concentra infine l’attenzione su tre aspetti del capitale sociale – relazioni, fiducia, organizzazioni – che emergono con particolare evidenza dalle definizioni del concetto analizzate.
2009
FEDERALISMO, INTEGRAZIONE EUROPEA E CRESCITA REGIONALE
Chiara, Sumiraschi
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