Torino, secondo Berengo unica vera “città capitale” presente in Italia durante l’Età moderna, alla vigilia dell’unificazione nazionale era reduce da oltre tre secoli di crescita demografica quasi ininterrotta. La crescita si era accompagnata ad una ridefinizione del tessuto urbano dello Stato sabaudo, sempre più chiaramente strutturato in funzione della capitale. Il ritmo della crescita si accentuò negli anni immediatamente precedenti l’unità, anche sulla base della promessa di glorie future: Torino si candidava ad essere capitale di un grande Regno e non più “solo” di uno Stato regionale. I primi anni unitari, caratterizzati dal fervore progettuale volto ad adeguare Torino al nuovo rango acquisito, non furono altro che la continuazione di un percorso già iniziato che il voto in favore di Roma capitale (1861) non valse ad interrompere. La decisione del trasferimento della capitale a Firenze (1864) giunse inattesa destando stupore, rabbia e preoccupazione per il futuro: risultando evidente a tutti che, nonostante la promessa di compensazioni, la città avrebbe risentito duramente del declassamento istituzionale. Circa 30.000 Torinesi, in gran parte persone dotate di alte qualifiche e notevoli competenze, abbandonarono la città seguendo la capitale e la corte. La società torinese ne rimase durevolmente depauperata; in questa prospettiva, la decisione di puntare sempre più sul valore delle maestranze industriali appare sostanzialmente una scelta forzata. L’urgenza di riprogettare il futuro della città va letta anche alla luce della perdita di centralità (geografica ed istituzionale) di Torino rispetto ad uno Stato unitario di cui pure rimaneva la capitale finanziaria, e di cui auspicava divenire anche la capitale industriale. Le dinamiche demografiche tradiscono l’incertezza della popolazione. Entro il 1880, però, sembra ristabilirsi un processo di crescita demografica costante, che accelera al volgere del secolo per effetto dell’accentuarsi dello sviluppo dell’industria, capace di compensare, seppure non in modo indolore, l’avvenuta perdita del ruolo di capitale finanziaria. Il mutare e l’intensificarsi dei flussi migratori, tali da modificare in profondità la struttura della popolazione torinese, sono lo specchio della trasformazione. La svolta industrialista e la crescita demografica, infine, non poterono compiersi senza alterare l’habitat urbano, causando l’insorgere di importanti sfide ambientali con cui la città dovette confrontarsi. Si completò così il percorso che portò Torino ad essere la prima “capitale manifatturiera” dell’Italia unita: percorso assai accidentato, fatto di errori, ripensamenti e tradimenti, che la città non aveva realmente “scelto” ma aveva deciso di abbracciare con un trasporto ravvivato dalla carenza di alternative. Divenuta capitale dell’industria italiana, Torino tornò ad essere padrona del proprio destino.
Demografia e società (1861 al 1911)
ALFANI, GUIDO
2008
Abstract
Torino, secondo Berengo unica vera “città capitale” presente in Italia durante l’Età moderna, alla vigilia dell’unificazione nazionale era reduce da oltre tre secoli di crescita demografica quasi ininterrotta. La crescita si era accompagnata ad una ridefinizione del tessuto urbano dello Stato sabaudo, sempre più chiaramente strutturato in funzione della capitale. Il ritmo della crescita si accentuò negli anni immediatamente precedenti l’unità, anche sulla base della promessa di glorie future: Torino si candidava ad essere capitale di un grande Regno e non più “solo” di uno Stato regionale. I primi anni unitari, caratterizzati dal fervore progettuale volto ad adeguare Torino al nuovo rango acquisito, non furono altro che la continuazione di un percorso già iniziato che il voto in favore di Roma capitale (1861) non valse ad interrompere. La decisione del trasferimento della capitale a Firenze (1864) giunse inattesa destando stupore, rabbia e preoccupazione per il futuro: risultando evidente a tutti che, nonostante la promessa di compensazioni, la città avrebbe risentito duramente del declassamento istituzionale. Circa 30.000 Torinesi, in gran parte persone dotate di alte qualifiche e notevoli competenze, abbandonarono la città seguendo la capitale e la corte. La società torinese ne rimase durevolmente depauperata; in questa prospettiva, la decisione di puntare sempre più sul valore delle maestranze industriali appare sostanzialmente una scelta forzata. L’urgenza di riprogettare il futuro della città va letta anche alla luce della perdita di centralità (geografica ed istituzionale) di Torino rispetto ad uno Stato unitario di cui pure rimaneva la capitale finanziaria, e di cui auspicava divenire anche la capitale industriale. Le dinamiche demografiche tradiscono l’incertezza della popolazione. Entro il 1880, però, sembra ristabilirsi un processo di crescita demografica costante, che accelera al volgere del secolo per effetto dell’accentuarsi dello sviluppo dell’industria, capace di compensare, seppure non in modo indolore, l’avvenuta perdita del ruolo di capitale finanziaria. Il mutare e l’intensificarsi dei flussi migratori, tali da modificare in profondità la struttura della popolazione torinese, sono lo specchio della trasformazione. La svolta industrialista e la crescita demografica, infine, non poterono compiersi senza alterare l’habitat urbano, causando l’insorgere di importanti sfide ambientali con cui la città dovette confrontarsi. Si completò così il percorso che portò Torino ad essere la prima “capitale manifatturiera” dell’Italia unita: percorso assai accidentato, fatto di errori, ripensamenti e tradimenti, che la città non aveva realmente “scelto” ma aveva deciso di abbracciare con un trasporto ravvivato dalla carenza di alternative. Divenuta capitale dell’industria italiana, Torino tornò ad essere padrona del proprio destino.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.