Il caso States v. BlackRock vede undici Stati americani a guida repubblicana accusare i tre maggiori gestori patrimoniali globali (BlackRock, Vanguard e State Street) di aver violato le norme antitrust coordinando strategie per ridurre la produzione di carbone nelle imprese partecipate, aumentandone i prezzi. L'accusa sostiene che i Big Three abbiano utilizzato pretesti ambientalisti (criteri ESG) per esercitare pressioni coordinate sulle società carbonifere, producendo effetti analoghi a quelli di un cartello. La difesa replica che le strategie ESG riflettono i doveri fiduciari verso investitori sensibili alla sostenibilità e che la considerazione dei rischi climatici rientra nella prudente gestione del portafoglio. Il caso ha forte valenza politica, contrapponendo Stati dipendenti dal carbone, che vedono l'attivismo ESG come regolamentazione privata illegittima, a gestori patrimoniali che sostengono di rappresentare le preferenze dei propri investitori. La controversia si colloca all'intersezione di due fenomeni strutturali: l'ascesa dell'attivismo ESG, che ridefinisce gli obiettivi dell'impresa oltre la massimizzazione del profitto, e la common ownership, ossia la presenza di azionisti comuni in imprese concorrenti, che può produrre effetti anticoncorrenziali anche senza accordi espliciti. Il caso solleva questioni fondamentali per il diritto antitrust: come distinguere riduzioni dell'output motivate da autentici obiettivi ambientali da strategie collusive mascherate; come regolare la common ownership quando azionisti con partecipazioni in più imprese rivali hanno interesse a ridurre la concorrenza; e come aggregare preferenze eterogenee degli azionisti quando questi perseguono valori etici oltre al profitto. L'esito del procedimento influenzerà profondamente l'evoluzione della politica della concorrenza e il futuro delle strategie ESG a livello globale.
L’azione legale contro BlackRock, Vanguard e State Street: un’analisi economica e politica
Panunzi, Fausto
2025
Abstract
Il caso States v. BlackRock vede undici Stati americani a guida repubblicana accusare i tre maggiori gestori patrimoniali globali (BlackRock, Vanguard e State Street) di aver violato le norme antitrust coordinando strategie per ridurre la produzione di carbone nelle imprese partecipate, aumentandone i prezzi. L'accusa sostiene che i Big Three abbiano utilizzato pretesti ambientalisti (criteri ESG) per esercitare pressioni coordinate sulle società carbonifere, producendo effetti analoghi a quelli di un cartello. La difesa replica che le strategie ESG riflettono i doveri fiduciari verso investitori sensibili alla sostenibilità e che la considerazione dei rischi climatici rientra nella prudente gestione del portafoglio. Il caso ha forte valenza politica, contrapponendo Stati dipendenti dal carbone, che vedono l'attivismo ESG come regolamentazione privata illegittima, a gestori patrimoniali che sostengono di rappresentare le preferenze dei propri investitori. La controversia si colloca all'intersezione di due fenomeni strutturali: l'ascesa dell'attivismo ESG, che ridefinisce gli obiettivi dell'impresa oltre la massimizzazione del profitto, e la common ownership, ossia la presenza di azionisti comuni in imprese concorrenti, che può produrre effetti anticoncorrenziali anche senza accordi espliciti. Il caso solleva questioni fondamentali per il diritto antitrust: come distinguere riduzioni dell'output motivate da autentici obiettivi ambientali da strategie collusive mascherate; come regolare la common ownership quando azionisti con partecipazioni in più imprese rivali hanno interesse a ridurre la concorrenza; e come aggregare preferenze eterogenee degli azionisti quando questi perseguono valori etici oltre al profitto. L'esito del procedimento influenzerà profondamente l'evoluzione della politica della concorrenza e il futuro delle strategie ESG a livello globale.| File | Dimensione | Formato | |
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