La morte di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio 2020 ha avuto un impatto straordinario sulla coscienza dei cittadini degli Stati Uniti e su quella dei cittadini di molti altri paesi. La gratuità e l’orrore di quel ginocchio puntato sul collo di un essere umano che chiedeva pietà, le mani in tasca del poliziotto assassino, che evidentemente non riteneva di correre alcun rischio, hanno cristallizzato in un’immagine ineludibile tutto ciò che ancora rimane da fare negli Stati Uniti per superare la piaga di un razzismo sistemico. Nel dibattito pubblico, al grido esasperato “Black Lives Matter” risponde quello di ingenuo buonsenso dei privilegiati: “All Lives Matter”. Nel dibattito teorico politico, Chris Lebron offre una breve storia del movimento dal 2012 a oggi, ma soprattutto rintraccia le sue origini tra il xix e il xx secolo nel lavoro di importanti intellettuali quali Fredrick Douglass, Ida B. Wells e James Baldwin (Lebron 2017). Havercroft e Owen mettono a frutto categorie filosofiche del xx secolo per venire a capo proprio dello scontro tra Black Lives Matter e All Lives Matter, cogliendo la capacità dell’essere umano di relegare parte dell’umanità a 1 Ringrazio Jonathan Havercroft, Michael Illuzzi, Alisa Kessel e Amit Ron per aver discusso con me i temi dell'articolo mentre lo scrivevo e Rajeev Dehejia per aver condiviso alcune delle fonti. Mi sono stati molto utili in fase di revisione i commenti dei valutatori/valutatrici, che quindi ringrazio insieme a Enrico Biale e Federica Liveriero per il loro interesse nel progetto. Giunia Gatta La lunga genesi di Black Lives Matter: colpa, cura del passato e (ri)costruzione del futuro 30 categorie di secondo grado (il soul blinding di cui parla Stanley Cavell). In questa ottica, All Lives Matter diventa l’eco sorda alla voce della protesta, incapace di quel riconoscimento tra esseri umani che misura la dignità dei pari, evitando le modalità tramite le quali ci si risveglia invece per cogliere la sostanziale uguaglianza di tutti: il soul dawning di Cavell e la rancierana apertura di mondi nei quali alcune argomentazioni vengono ricevute e fanno breccia nelle coscienze (Havercroft, Owen 2016; Rancière 2007). Charles Olney distingue tre diverse accezioni nelle quali viene articolata la rivendicazione Black Lives Matter. Da una parte c’è la richiesta di adempiere alla fondamentale promessa di uguaglianza di fronte alla legge, senza necessariamente muovere critiche fondamentali a istituzioni e valori esistenti. Da un’altra c’è la sottolineatura dei diversi modi nei quali la categoria della razza inficia la promessa di giustizia, e quindi fa nascere il sospetto nei confronti di istituzioni che proclamano di non “vedere” la razza, ma che in realtà svantaggiano sistematicamente gli afroamericani. Secondo questa prospettiva, il sogno americano è intaccato dalla macchia del razzismo, ma può essere salvato tramite politiche deliberatamente antirazziste. Vi è anche un senso molto più radicale nel quale la rivendicazione viene articolata, come vero e proprio assalto al progetto statunitense nel suo insieme. Secondo questa prospettiva non c’è alcuno spazio di collaborazione con le istituzioni esistenti, irrimediabilmente e fondamentalmente razziste (Olney 2021). Olney nota come il movimento costituitosi intorno alla rivendicazione sia riuscito a mantenere uno spettro ampio, coprendo il terreno dalle rivendicazioni di senso comune a una critica più strutturale e antagonista alle istituzioni fondamentali della democrazia americana e alla loro possibilità di redimere la sofferenza di ogni gruppo in un ottimistico disegno di emancipazione universale (ibidem). Il movimento conterrebbe in questo senso una capacità dialettica di autocontestazione che tiene insieme in pratica tutte queste anime, come testimonia la sua elusività rispetto a cosa esattamente implichino richieste quali la riduzione o eliminazione del sostegno economico alle forze di polizia. Al di là delle categorie analitiche a volte artificiose di Olney, altri teorici hanno cercato di illuminare il significato di Black Lives Matter, notando che al di là della presunzione liberale di includere le vite degli afroamericani tra quelle che “contano”, la realtà statunitense mostra che esse 31 Giunia Gatta La lunga genesi di Black Lives Matter: colpa, cura del passato e (ri)costruzione del futuro sono in realtà considerate come prive di valore (Lebron 2013). In questo contesto sarebbero da collocarsi le riscritture dell’attivismo afroamericano degli anni Sessanta del Novecento come vincente proprio perché non violento, e le condanne delle più “indisciplinate” rivendicazioni degli afroamericani all’indomani degli assassinii di giovani afroamericani disarmati (Hooker 2016). Spesso qualificare un’ingiustizia come strutturale o sistemica significa invocare dinamiche complesse e di difficile soluzione, con la conseguenza pratica di polarizzare le possibili risposte politiche tra l’acquiescenza e la rivoluzione. In questo articolo propongo la nozione di colpa politica come un utile strumento per superare questa dicotomia e per riformulare le possibilità di risposta alle ingiustizie strutturali. Attribuire, o attribuirsi, una colpa politica significa non accusare o accusarsi di un crimine in prima persona, ma accettare che alcuni corsi di azione presi nel passato hanno creato la possibilità per alcuni di fiorire ed emanciparsi, e per altri di appassire in circostanze opprimenti.
La lunga genesi di Black Lives Matter: colpa, cura del passato e (ri)costruzione del futuro
Gatta, Giunia Valeria
2021
Abstract
La morte di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio 2020 ha avuto un impatto straordinario sulla coscienza dei cittadini degli Stati Uniti e su quella dei cittadini di molti altri paesi. La gratuità e l’orrore di quel ginocchio puntato sul collo di un essere umano che chiedeva pietà, le mani in tasca del poliziotto assassino, che evidentemente non riteneva di correre alcun rischio, hanno cristallizzato in un’immagine ineludibile tutto ciò che ancora rimane da fare negli Stati Uniti per superare la piaga di un razzismo sistemico. Nel dibattito pubblico, al grido esasperato “Black Lives Matter” risponde quello di ingenuo buonsenso dei privilegiati: “All Lives Matter”. Nel dibattito teorico politico, Chris Lebron offre una breve storia del movimento dal 2012 a oggi, ma soprattutto rintraccia le sue origini tra il xix e il xx secolo nel lavoro di importanti intellettuali quali Fredrick Douglass, Ida B. Wells e James Baldwin (Lebron 2017). Havercroft e Owen mettono a frutto categorie filosofiche del xx secolo per venire a capo proprio dello scontro tra Black Lives Matter e All Lives Matter, cogliendo la capacità dell’essere umano di relegare parte dell’umanità a 1 Ringrazio Jonathan Havercroft, Michael Illuzzi, Alisa Kessel e Amit Ron per aver discusso con me i temi dell'articolo mentre lo scrivevo e Rajeev Dehejia per aver condiviso alcune delle fonti. Mi sono stati molto utili in fase di revisione i commenti dei valutatori/valutatrici, che quindi ringrazio insieme a Enrico Biale e Federica Liveriero per il loro interesse nel progetto. Giunia Gatta La lunga genesi di Black Lives Matter: colpa, cura del passato e (ri)costruzione del futuro 30 categorie di secondo grado (il soul blinding di cui parla Stanley Cavell). In questa ottica, All Lives Matter diventa l’eco sorda alla voce della protesta, incapace di quel riconoscimento tra esseri umani che misura la dignità dei pari, evitando le modalità tramite le quali ci si risveglia invece per cogliere la sostanziale uguaglianza di tutti: il soul dawning di Cavell e la rancierana apertura di mondi nei quali alcune argomentazioni vengono ricevute e fanno breccia nelle coscienze (Havercroft, Owen 2016; Rancière 2007). Charles Olney distingue tre diverse accezioni nelle quali viene articolata la rivendicazione Black Lives Matter. Da una parte c’è la richiesta di adempiere alla fondamentale promessa di uguaglianza di fronte alla legge, senza necessariamente muovere critiche fondamentali a istituzioni e valori esistenti. Da un’altra c’è la sottolineatura dei diversi modi nei quali la categoria della razza inficia la promessa di giustizia, e quindi fa nascere il sospetto nei confronti di istituzioni che proclamano di non “vedere” la razza, ma che in realtà svantaggiano sistematicamente gli afroamericani. Secondo questa prospettiva, il sogno americano è intaccato dalla macchia del razzismo, ma può essere salvato tramite politiche deliberatamente antirazziste. Vi è anche un senso molto più radicale nel quale la rivendicazione viene articolata, come vero e proprio assalto al progetto statunitense nel suo insieme. Secondo questa prospettiva non c’è alcuno spazio di collaborazione con le istituzioni esistenti, irrimediabilmente e fondamentalmente razziste (Olney 2021). Olney nota come il movimento costituitosi intorno alla rivendicazione sia riuscito a mantenere uno spettro ampio, coprendo il terreno dalle rivendicazioni di senso comune a una critica più strutturale e antagonista alle istituzioni fondamentali della democrazia americana e alla loro possibilità di redimere la sofferenza di ogni gruppo in un ottimistico disegno di emancipazione universale (ibidem). Il movimento conterrebbe in questo senso una capacità dialettica di autocontestazione che tiene insieme in pratica tutte queste anime, come testimonia la sua elusività rispetto a cosa esattamente implichino richieste quali la riduzione o eliminazione del sostegno economico alle forze di polizia. Al di là delle categorie analitiche a volte artificiose di Olney, altri teorici hanno cercato di illuminare il significato di Black Lives Matter, notando che al di là della presunzione liberale di includere le vite degli afroamericani tra quelle che “contano”, la realtà statunitense mostra che esse 31 Giunia Gatta La lunga genesi di Black Lives Matter: colpa, cura del passato e (ri)costruzione del futuro sono in realtà considerate come prive di valore (Lebron 2013). In questo contesto sarebbero da collocarsi le riscritture dell’attivismo afroamericano degli anni Sessanta del Novecento come vincente proprio perché non violento, e le condanne delle più “indisciplinate” rivendicazioni degli afroamericani all’indomani degli assassinii di giovani afroamericani disarmati (Hooker 2016). Spesso qualificare un’ingiustizia come strutturale o sistemica significa invocare dinamiche complesse e di difficile soluzione, con la conseguenza pratica di polarizzare le possibili risposte politiche tra l’acquiescenza e la rivoluzione. In questo articolo propongo la nozione di colpa politica come un utile strumento per superare questa dicotomia e per riformulare le possibilità di risposta alle ingiustizie strutturali. Attribuire, o attribuirsi, una colpa politica significa non accusare o accusarsi di un crimine in prima persona, ma accettare che alcuni corsi di azione presi nel passato hanno creato la possibilità per alcuni di fiorire ed emanciparsi, e per altri di appassire in circostanze opprimenti.File | Dimensione | Formato | |
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