Il tema dell’abbandono volontario delle negoziazioni da parte delle società emittenti è oggetto, già da tempo, di un vivo interesse da parte della stampa specializzata e della letteratura economica. La sua attuale caratterizzazione lo distingue dalle c.d. «ondate» di going private che avevano interessato i mercati statunitensi già negli anni ’80 sotto due profili: per un verso, esso riguarda tutte le principali piazze finanziarie europee; per un altro, coinvolge soprattutto società di dimensioni contenute, con una proprietà azionaria concentrata, per le quali la scelta della de-quotazione è dettata dalla sproporzione tra costi sostenuti e benefici tratti dal mercato. L’insieme dei cambiamenti intervenuti nel contesto europeo in relazione alla disciplina sugli emittenti quotati ha inevitabilmente posto all’attenzione dei legislatori nazionali il tema delle regole con cui disciplinare l’abbandono volontario del listino. Tutti gli ordinamenti, pur in presenza di innegabili diversità, si confrontano con il problema di quale spazio riservare all’autonomia dell’emittente nella fase di abbandono del mercato. Allo stesso tempo, appare evidente come il costante mutamento che contraddistingue la struttura e il funzionamento delle trading venues richieda un pronto adattamento delle regole, che rischierebbero altrimenti di svelare problemi di compatibilità con le finalità che ambiscono a perseguire. A fronte di un fenomeno economico di rilevanza comune, il panorama europeo si caratterizza per un certo grado di disarmonia delle soluzioni predisposte, al punto da sollevare l’interrogativo circa la loro effettiva comparabilità. Le diversità attengono, infatti, non solo al punto di equilibrio complessivamente disegnato, ma alla stessa collocazione della disciplina tra diritto societario e diritto dei mercati e alla natura degli strumenti di tutela prescelti. Ciò appare tanto più interessante se si considera che l’armonizzazione europea ha ormai coperto l’intero spettro delle vicende legate alla quotazione di strumenti su un mercato regolamentato, compresi i poteri di esclusione del gestore in relazione ai titoli che abbiano cessato di rispettare le regole del sistema e i diritti di sell-out e squeeze-out esercitati a margine di un’offerta pubblica di acquisto. Resta invece escluso ogni riferimento alle condizioni che legittimano l’emittente, di propria iniziativa, a percorrere la «via di ritorno» (c.d. delisting volontario). All’assenza di una disciplina armonizzata si accompagna la mancanza nel panorama dottrinale di un’indagine di diritto comparato volta ad approfondire i fattori condizionanti tale eterogeneità e ad offrirne una migliore comprensione, in vista di un eventuale futuro intervento del legislatore europeo in materia. Il presente lavoro mira ad inserirsi in questo spazio di ricerca. L’indagine tocca, nell’ordine, i sistemi tedesco, francese, inglese ed infine italiano. Per ciascun sistema essa si sofferma sulla ratio disciplinae, sulla natura degli interessi coinvolti dall’operazione, sulla scelta degli strumenti di tutela e sul conseguente equilibrio così definito. All’esame dei singoli ordinamenti segue un capitolo conclusivo, che sviluppa alcune riflessioni sul grado di comparabilità dei modelli, sui processi di convergenza e divergenza tra sistemi e sulle determinanti delle similitudini e differenze riscontrate nell’analisi. Compito dell’interprete è, infatti, quello di verificare se i punti di sovrapposizione non consentano già di individuare un nucleo di regole funzionalmente equivalenti.
Il delisting di azioni dal mercato regolamentato tra autonomia privata e tutela degli investitori
SCOPSI, MARTINA
2020
Abstract
Il tema dell’abbandono volontario delle negoziazioni da parte delle società emittenti è oggetto, già da tempo, di un vivo interesse da parte della stampa specializzata e della letteratura economica. La sua attuale caratterizzazione lo distingue dalle c.d. «ondate» di going private che avevano interessato i mercati statunitensi già negli anni ’80 sotto due profili: per un verso, esso riguarda tutte le principali piazze finanziarie europee; per un altro, coinvolge soprattutto società di dimensioni contenute, con una proprietà azionaria concentrata, per le quali la scelta della de-quotazione è dettata dalla sproporzione tra costi sostenuti e benefici tratti dal mercato. L’insieme dei cambiamenti intervenuti nel contesto europeo in relazione alla disciplina sugli emittenti quotati ha inevitabilmente posto all’attenzione dei legislatori nazionali il tema delle regole con cui disciplinare l’abbandono volontario del listino. Tutti gli ordinamenti, pur in presenza di innegabili diversità, si confrontano con il problema di quale spazio riservare all’autonomia dell’emittente nella fase di abbandono del mercato. Allo stesso tempo, appare evidente come il costante mutamento che contraddistingue la struttura e il funzionamento delle trading venues richieda un pronto adattamento delle regole, che rischierebbero altrimenti di svelare problemi di compatibilità con le finalità che ambiscono a perseguire. A fronte di un fenomeno economico di rilevanza comune, il panorama europeo si caratterizza per un certo grado di disarmonia delle soluzioni predisposte, al punto da sollevare l’interrogativo circa la loro effettiva comparabilità. Le diversità attengono, infatti, non solo al punto di equilibrio complessivamente disegnato, ma alla stessa collocazione della disciplina tra diritto societario e diritto dei mercati e alla natura degli strumenti di tutela prescelti. Ciò appare tanto più interessante se si considera che l’armonizzazione europea ha ormai coperto l’intero spettro delle vicende legate alla quotazione di strumenti su un mercato regolamentato, compresi i poteri di esclusione del gestore in relazione ai titoli che abbiano cessato di rispettare le regole del sistema e i diritti di sell-out e squeeze-out esercitati a margine di un’offerta pubblica di acquisto. Resta invece escluso ogni riferimento alle condizioni che legittimano l’emittente, di propria iniziativa, a percorrere la «via di ritorno» (c.d. delisting volontario). All’assenza di una disciplina armonizzata si accompagna la mancanza nel panorama dottrinale di un’indagine di diritto comparato volta ad approfondire i fattori condizionanti tale eterogeneità e ad offrirne una migliore comprensione, in vista di un eventuale futuro intervento del legislatore europeo in materia. Il presente lavoro mira ad inserirsi in questo spazio di ricerca. L’indagine tocca, nell’ordine, i sistemi tedesco, francese, inglese ed infine italiano. Per ciascun sistema essa si sofferma sulla ratio disciplinae, sulla natura degli interessi coinvolti dall’operazione, sulla scelta degli strumenti di tutela e sul conseguente equilibrio così definito. All’esame dei singoli ordinamenti segue un capitolo conclusivo, che sviluppa alcune riflessioni sul grado di comparabilità dei modelli, sui processi di convergenza e divergenza tra sistemi e sulle determinanti delle similitudini e differenze riscontrate nell’analisi. Compito dell’interprete è, infatti, quello di verificare se i punti di sovrapposizione non consentano già di individuare un nucleo di regole funzionalmente equivalenti.File | Dimensione | Formato | |
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