Nell’occuparsi del diritto di voto emergono questioni attinenti alla necessità che gli ordinamenti societari si ispirino a principi democratici, declinati nel paradigma one share one vote e nel conseguente principio di proporzionalità. Dall’incontro del diritto di voto, quale essenziale prerogativa amministrativa delle azioni, e del principio di proporzionalità discende, come noto, il rilievo centrale in pressoché tutti gli studi di governance del soggetto in grado di imporre il proprio diritto di voto soprattutto con riguardo alla nomina degli amministratori. Ne deriva una esigenza sentita, ampiamente discussa, ovvero la necessità di tutelare le minoranze, principalmente in occasione della scelta dei soggetti deputati alla gestione. Occorre altresì precisare che il concetto di minoranza è esso stesso di difficile definizione, trattandosi in realtà di un floating concept, spesso individuato per differenza rispetto al termine “maggioranza”, a propria volta di complessa determinazione. Anche guardando al nostro ordinamento societario si rileva come la nozione di “minoranza” trovi spazio tanto nel Codice di autodisciplina (art. 3, commento; art. 9.C.4 e relativo commento) quanto nel TUF (in cui una sezione specifica è dedicata al tema) e pertanto si inserisca nella fitta e complessa “intelaiatura” delle caratteristiche previste per amministratori e sindaci onde garantire una regolare composizione degli organi sociali. Di conseguenza, lungo il percorso che dal voto giunge alle nomine – e, così, al cuore della corporate governance – si inseriscono i concetti di amministratori e sindaci di minoranza (e, ancor più, amministratori e sindaci indipendenti di minoranza), che si trovano così ad occupare un ruolo nell’organizzazione societaria, e il funzionamento del board. L’articolo si propone invero di verificare se il modello del voto di lista italiano costituisca davvero un unicum nel sistema a livello comparato, evidenziando eventuali elementi comuni ad altri sistemi giuridici. Nello specifico, la questione è declinata rispetto a ordinamenti raggruppati in base alle peculiarità che esse presentano. Si guarderà, anzitutto, a Germania e Francia (§ 3), quindi, ad Inghilterra e Israele (§§ 4-5), infine, agli Stati Uniti (§ 6). Nel primo gruppo, l’affinità degli ordinamenti saminati si può individuare nel fatto che la rappresentatività di stakeholders nel board costituisce elemento di differenziazione degli interessi rappresentati; mentre, rispetto al secondo, l’affinità riscontrata consiste nel diritto di veto riconosciuto alle minoranze, così rendendo imperativo il loro diritto a concorrere alla nomina. In relazione al contesto statunitense, nell’ambito dell’istituto del proxy access, è stato affermato come esso costituisca una potenzialità di rilievo, benché non ancora sfruttata appieno: «[t]he gun […] is loaded, but it has not really shot yet».
Lineamenti di un’analisi comparata sul voto di lista: alla ricerca del ruolo della minoranza
Passador, Maria Lucia
2018
Abstract
Nell’occuparsi del diritto di voto emergono questioni attinenti alla necessità che gli ordinamenti societari si ispirino a principi democratici, declinati nel paradigma one share one vote e nel conseguente principio di proporzionalità. Dall’incontro del diritto di voto, quale essenziale prerogativa amministrativa delle azioni, e del principio di proporzionalità discende, come noto, il rilievo centrale in pressoché tutti gli studi di governance del soggetto in grado di imporre il proprio diritto di voto soprattutto con riguardo alla nomina degli amministratori. Ne deriva una esigenza sentita, ampiamente discussa, ovvero la necessità di tutelare le minoranze, principalmente in occasione della scelta dei soggetti deputati alla gestione. Occorre altresì precisare che il concetto di minoranza è esso stesso di difficile definizione, trattandosi in realtà di un floating concept, spesso individuato per differenza rispetto al termine “maggioranza”, a propria volta di complessa determinazione. Anche guardando al nostro ordinamento societario si rileva come la nozione di “minoranza” trovi spazio tanto nel Codice di autodisciplina (art. 3, commento; art. 9.C.4 e relativo commento) quanto nel TUF (in cui una sezione specifica è dedicata al tema) e pertanto si inserisca nella fitta e complessa “intelaiatura” delle caratteristiche previste per amministratori e sindaci onde garantire una regolare composizione degli organi sociali. Di conseguenza, lungo il percorso che dal voto giunge alle nomine – e, così, al cuore della corporate governance – si inseriscono i concetti di amministratori e sindaci di minoranza (e, ancor più, amministratori e sindaci indipendenti di minoranza), che si trovano così ad occupare un ruolo nell’organizzazione societaria, e il funzionamento del board. L’articolo si propone invero di verificare se il modello del voto di lista italiano costituisca davvero un unicum nel sistema a livello comparato, evidenziando eventuali elementi comuni ad altri sistemi giuridici. Nello specifico, la questione è declinata rispetto a ordinamenti raggruppati in base alle peculiarità che esse presentano. Si guarderà, anzitutto, a Germania e Francia (§ 3), quindi, ad Inghilterra e Israele (§§ 4-5), infine, agli Stati Uniti (§ 6). Nel primo gruppo, l’affinità degli ordinamenti saminati si può individuare nel fatto che la rappresentatività di stakeholders nel board costituisce elemento di differenziazione degli interessi rappresentati; mentre, rispetto al secondo, l’affinità riscontrata consiste nel diritto di veto riconosciuto alle minoranze, così rendendo imperativo il loro diritto a concorrere alla nomina. In relazione al contesto statunitense, nell’ambito dell’istituto del proxy access, è stato affermato come esso costituisca una potenzialità di rilievo, benché non ancora sfruttata appieno: «[t]he gun […] is loaded, but it has not really shot yet».File | Dimensione | Formato | |
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