Per la prima volta nella sua storia, la Corte costituzionale italiana dovrà presto decidere se azionare un ‘controlimite’ – rappresentato, nella specie, dal principio di legalità in materia penale di cui all’art. 25 co. 2 Cost. – rispetto ad un obbligo di fonte UE gravante sullo Stato italiano, così come declinato da una sentenza della Corte di giustizia. Nonostante il coro di voci favorevoli a questa prospettiva che si è nel frattempo levato presso la dottrina italiana, non mi pare che nella specie sussistano i presupposti per una simile decisione. L’obbligo, sancito dalla Corte di giustizia, di disapplicazione della vigente disciplina in materia di interruzione della prescrizione in relazione a frodi gravi contro gli interessi finanziari dell’Unione non contrasta, a mio avviso, né con la garanzia ‘ordinamentale’ rappresentata dalla riserva di legge in materia penale, né con il diritto fondamentale del singolo a prevedere l’an e il quantum della pena al momento della propria condotta. D’altra parte, tutt’altro che trascurabili sarebbero, in un momento di acuta crisi del progetto politico europeo, i costi di una decisione con la quale la Corte costituzionale italiana – prima fra tutte quelle degli Stati fondatori dell’Unione – dovesse sfidare così apertamente il principio del primato del diritto UE, sul quale si è sinora retta la costruzione giuridica europea; e tutto ciò a difesa non già di principi conformatori della nostra ‘identità nazionale’, ma di una disciplina che determina la flagrante violazione degli obblighi di tutela degli interessi finanziari dell’Unione che l’Italia si è liberamente assunta mediante la ratifica del trattati. Sicché, a chi oggi esclama “se non ora, quando?”, converrà fermamente rispondere “proprio ora, no”.

Il caso Taricco davanti alla Corte costituzionale: qualche riflessione sul merito delle questioni, e sulla reale posta in gioco

VIGANO', FRANCESCO
2016

Abstract

Per la prima volta nella sua storia, la Corte costituzionale italiana dovrà presto decidere se azionare un ‘controlimite’ – rappresentato, nella specie, dal principio di legalità in materia penale di cui all’art. 25 co. 2 Cost. – rispetto ad un obbligo di fonte UE gravante sullo Stato italiano, così come declinato da una sentenza della Corte di giustizia. Nonostante il coro di voci favorevoli a questa prospettiva che si è nel frattempo levato presso la dottrina italiana, non mi pare che nella specie sussistano i presupposti per una simile decisione. L’obbligo, sancito dalla Corte di giustizia, di disapplicazione della vigente disciplina in materia di interruzione della prescrizione in relazione a frodi gravi contro gli interessi finanziari dell’Unione non contrasta, a mio avviso, né con la garanzia ‘ordinamentale’ rappresentata dalla riserva di legge in materia penale, né con il diritto fondamentale del singolo a prevedere l’an e il quantum della pena al momento della propria condotta. D’altra parte, tutt’altro che trascurabili sarebbero, in un momento di acuta crisi del progetto politico europeo, i costi di una decisione con la quale la Corte costituzionale italiana – prima fra tutte quelle degli Stati fondatori dell’Unione – dovesse sfidare così apertamente il principio del primato del diritto UE, sul quale si è sinora retta la costruzione giuridica europea; e tutto ciò a difesa non già di principi conformatori della nostra ‘identità nazionale’, ma di una disciplina che determina la flagrante violazione degli obblighi di tutela degli interessi finanziari dell’Unione che l’Italia si è liberamente assunta mediante la ratifica del trattati. Sicché, a chi oggi esclama “se non ora, quando?”, converrà fermamente rispondere “proprio ora, no”.
2016
2016
Vigano', Francesco
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