Le donne italiane hanno le stesse “capacità” degli uomini, per livello di istruzione e capitale umano, ma non utilizzano le loro potenzialità pienamente: partecipano poco alla vita politica ed economica del Paese e spesso sono segregate in ruoli marginali. Il cammino di quella rivoluzione silenziosa che ha trasformato la vita delle donne in molti paesi sviluppati attraverso cambiamenti, rivoluzionari appunto, nell’istruzione, nel mondo del lavoro e nella famiglia, per le italiane non solo è largamente incompleto, ma anzi sembra essersi bloccato negli ultimi anni. Complice la congiuntura economica, il tasso di attività femminile in Italia è fermo al 46%. Meno pagate e con maggiori difficoltà nell’ingresso nel mercato del lavoro dei coetanei uomini, le donne si trovano poi di fronte alla difficile conciliazione tra ruoli familiari e lavorativi, per la scarsità dei servizi di cura da una parte e, d’altra, per il perdurare dell’’ineguaglianza dei ruoli di genere all’interno della famiglia. Eppure, proprio di fronte alla crisi economica, occorrerebbe incentivare di più l’offerta di lavoro femminile. All’affermazione di principio per cui bisogna favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro per rispondere a principi di pari opportunità e di eguaglianza tra i generi, si aggiunge un’argomentazione ulteriore, decisiva alla causa della valorizzazione femminile: il lavoro delle donne fa crescere l’economia. Se le politiche per l’occupazione femminile fossero accompagnate da politiche di conciliazione che agevolassero le donne nel loro doppio ruolo di lavoratrici e madri, le entrate fiscali e previdenziali aumenterebbero contribuendo alla sostenibilità del sistema pensionistico, il lavoro femminile farebbe crescere il reddito delle famiglie, riducendone il rischio di povertà, produrrebbe nuovi posti di lavoro nei servizi, con il conseguente incremento dei consumi e di crescita dell’economia. L’esempio di altri paesi europei è chiaro: dove gli squilibri di genere nei tassi di occupazione e nei salari sono minori, la crescita economica è maggiore e la fecondità in aumento. In un momento di tagli e di crisi, proprio per aiutare l’Italia a risalire la china, occorre più che mai investire nelle donne mettendo in moto un vero e proprio circolo virtuoso, un’opportunità che il nostro Paese non dovrebbe farsi sfuggire. Troppi pregiudizi, però, perdurano in Italia sui possibili effetti del lavoro femminile. C’è ancora da compiere una vera e propria rivoluzione culturale, se è vero che resistono comunemente idee del tipo che le donne che lavorano sono madri peggiori, che i loro figli vanno peggio a scuola, che le stesse, schiacciate dal doppio ruolo, sono infelici. Tutti smentiti, dati alla mano. Nel libro, con abbondanza di dati statistici, l’attuale situazione delle donne italiane viene confrontata non solo con quella degli uomini, ma soprattutto con quella delle altre donne europee. Le analogie e le differenze con gli altri paesi servono a individuare percorsi di crescita e di sviluppo per le donne, attraverso la promozione del lavoro femminile per il mercato e la posizione delle donne nella vita politica ed economica del Paese. Ne consegue un decalogo di misure concrete non solo realistico, ma indispensabile investimento per il futuro del Paese – perché valorizzare le donne conviene a tutti –: dall'indirizzare le donne verso studi scientifici all'incentivare l'offerta di lavoro femminile, a cancellare la norma sulle dimissioni bianco (che colpisce soprattutto le mamme) a trasformare il part time e la flessibilità in un'occasione per tutti, dipendenti e aziende; dallo studiare politiche di conciliazione aziendale all'investire - e non tagliare - nei servizi di cura per i bambini. E ancora: introdurre un credito di imposta per le retribuzioni più basse (che sono quasi sempre quelle delle donne); far comprendere alle imprese che la maternità è un costo irrisorio e che quindi non c'è da averne paura; prevedere sgravi fiscali per chi assume personale femminile, concedere incentivi all'imprenditoria in rosa, prevedere le quote di genere ai vertici delle aziende, far diventare obbligatorio il congedo di paternità. Agire, insomma, sulle leve fiscali, sulle quote riservate e sulla cultura.

Valorizzare le donne conviene

MENCARINI, LETIZIA;
2012

Abstract

Le donne italiane hanno le stesse “capacità” degli uomini, per livello di istruzione e capitale umano, ma non utilizzano le loro potenzialità pienamente: partecipano poco alla vita politica ed economica del Paese e spesso sono segregate in ruoli marginali. Il cammino di quella rivoluzione silenziosa che ha trasformato la vita delle donne in molti paesi sviluppati attraverso cambiamenti, rivoluzionari appunto, nell’istruzione, nel mondo del lavoro e nella famiglia, per le italiane non solo è largamente incompleto, ma anzi sembra essersi bloccato negli ultimi anni. Complice la congiuntura economica, il tasso di attività femminile in Italia è fermo al 46%. Meno pagate e con maggiori difficoltà nell’ingresso nel mercato del lavoro dei coetanei uomini, le donne si trovano poi di fronte alla difficile conciliazione tra ruoli familiari e lavorativi, per la scarsità dei servizi di cura da una parte e, d’altra, per il perdurare dell’’ineguaglianza dei ruoli di genere all’interno della famiglia. Eppure, proprio di fronte alla crisi economica, occorrerebbe incentivare di più l’offerta di lavoro femminile. All’affermazione di principio per cui bisogna favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro per rispondere a principi di pari opportunità e di eguaglianza tra i generi, si aggiunge un’argomentazione ulteriore, decisiva alla causa della valorizzazione femminile: il lavoro delle donne fa crescere l’economia. Se le politiche per l’occupazione femminile fossero accompagnate da politiche di conciliazione che agevolassero le donne nel loro doppio ruolo di lavoratrici e madri, le entrate fiscali e previdenziali aumenterebbero contribuendo alla sostenibilità del sistema pensionistico, il lavoro femminile farebbe crescere il reddito delle famiglie, riducendone il rischio di povertà, produrrebbe nuovi posti di lavoro nei servizi, con il conseguente incremento dei consumi e di crescita dell’economia. L’esempio di altri paesi europei è chiaro: dove gli squilibri di genere nei tassi di occupazione e nei salari sono minori, la crescita economica è maggiore e la fecondità in aumento. In un momento di tagli e di crisi, proprio per aiutare l’Italia a risalire la china, occorre più che mai investire nelle donne mettendo in moto un vero e proprio circolo virtuoso, un’opportunità che il nostro Paese non dovrebbe farsi sfuggire. Troppi pregiudizi, però, perdurano in Italia sui possibili effetti del lavoro femminile. C’è ancora da compiere una vera e propria rivoluzione culturale, se è vero che resistono comunemente idee del tipo che le donne che lavorano sono madri peggiori, che i loro figli vanno peggio a scuola, che le stesse, schiacciate dal doppio ruolo, sono infelici. Tutti smentiti, dati alla mano. Nel libro, con abbondanza di dati statistici, l’attuale situazione delle donne italiane viene confrontata non solo con quella degli uomini, ma soprattutto con quella delle altre donne europee. Le analogie e le differenze con gli altri paesi servono a individuare percorsi di crescita e di sviluppo per le donne, attraverso la promozione del lavoro femminile per il mercato e la posizione delle donne nella vita politica ed economica del Paese. Ne consegue un decalogo di misure concrete non solo realistico, ma indispensabile investimento per il futuro del Paese – perché valorizzare le donne conviene a tutti –: dall'indirizzare le donne verso studi scientifici all'incentivare l'offerta di lavoro femminile, a cancellare la norma sulle dimissioni bianco (che colpisce soprattutto le mamme) a trasformare il part time e la flessibilità in un'occasione per tutti, dipendenti e aziende; dallo studiare politiche di conciliazione aziendale all'investire - e non tagliare - nei servizi di cura per i bambini. E ancora: introdurre un credito di imposta per le retribuzioni più basse (che sono quasi sempre quelle delle donne); far comprendere alle imprese che la maternità è un costo irrisorio e che quindi non c'è da averne paura; prevedere sgravi fiscali per chi assume personale femminile, concedere incentivi all'imprenditoria in rosa, prevedere le quote di genere ai vertici delle aziende, far diventare obbligatorio il congedo di paternità. Agire, insomma, sulle leve fiscali, sulle quote riservate e sulla cultura.
2012
Società Editrice Il Mulino
9788815234605
D., Del Boca; Mencarini, Letizia; S., Pasqua
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11565/3985215
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