Dal momento in cui il dato empirico è divenuto elemento atto a contribuire al dibattito attorno al ruolo e alla funzione della pena, sempre più numerosi sono stati i quesiti ad esso indirizzati. Non più e non solo, dunque, interrogativi rivolti ad indagare gli effetti e a valutare l’effettività della sanzione, ma anche, e soprattutto, questioni relative ai processi di criminalizzazione e alla valutazione di opzioni di politica criminale in una visione relativa della pena, in cui lo scopo della stessa è prevalentemente ravvisato nel prevenire comportamenti socialmente indesiderati. Perché la pena possa adempiere efficacemente al proprio mandato è necessario che la realtà obiettiva della sua esistenza e della sua applicazione siano percepite dai destinatari della stessa. Il diritto penale è in grado di svolgere “una funzione sociale nei limiti in cui è in grado di interagire con l’ambiente attraverso la comunicazione con i (propri) destinatari”. In questa prospettiva i profili empirici dell’odierno dibattito sulla funzione della pena si allargano sino a ricomprendere l’individuazione e la valutazione dell’incidenza delle variabili da cui dipende l’efficacia generalpreventiva e le condizioni generali presupposto di tale efficacia. I problemi empirici più significativi emergono, di conseguenza, quando ci si interroghi sull’effetto intimidatorio prodottosi a seguito di una determinata scelta politico criminale. Questo in ragione della difficoltà di ponderare in che misura abbia influito sulla decisione dei potenziali autori del crimine, di astenersi dal porre in essere l’atto di reato, la minaccia della sanzione e, in che misura invece, tale scelta sia da attribuire all’azione di altre e diverse variabili. Nell’ambito del diritto penale economico e, più nello specifico, della realtà delle imprese, poi, l’importanza di includere considerazioni in tema di percezione nasce dalla consapevolezza che le misure di controllo sono spesso dimensionate sulla base della percezione del rischio reato/sanzione e sulla gestione delle conseguenze. Una diversa modalità di percezione del fenomeno criminale, dunque, può condizionare scelte e decisioni di estremo rilievo, può determinare il concreto funzionamento del sistema di controllo e può condizionare l’efficacia delle norme stesse, oltre ad influire sulle direttive di politica criminale. In questa prospettiva, l’Autrice ha cercato di ricostruire la percezione delle imprese in ordine alle norme che sanzionano le condotte devianti in tema di criminalità economica, di analizzare i casi di criminalità economica, nella fattispecie delle false comunicazioni sociali, che hanno coinvolto le aziende italiane intervistate e mettere in evidenza l’efficacia percepita delle misure di prevenzione adottate. Dalle riflessioni sviluppate emerge l’assenza di qualsivoglia efficacia deterrente della pena e di qualsivoglia portato virtuoso del precetto incapace, quest’ultimo, di comunicare il disvalore sociale iscritto nella condotta sanzionata. In conclusione l’operatore economico, in definitiva, non appare inserire tra i parametri atti a condizionare le proprie scelte d’impresa il timore della sanzione penale che non appare svolgere alcuna efficace azione di contrasto o di prevenzione alla criminalità economica.

Spunti sull’efficacia della sanzione penale nell’organizzazione delle imprese

MONTANI, ELEONORA
2011

Abstract

Dal momento in cui il dato empirico è divenuto elemento atto a contribuire al dibattito attorno al ruolo e alla funzione della pena, sempre più numerosi sono stati i quesiti ad esso indirizzati. Non più e non solo, dunque, interrogativi rivolti ad indagare gli effetti e a valutare l’effettività della sanzione, ma anche, e soprattutto, questioni relative ai processi di criminalizzazione e alla valutazione di opzioni di politica criminale in una visione relativa della pena, in cui lo scopo della stessa è prevalentemente ravvisato nel prevenire comportamenti socialmente indesiderati. Perché la pena possa adempiere efficacemente al proprio mandato è necessario che la realtà obiettiva della sua esistenza e della sua applicazione siano percepite dai destinatari della stessa. Il diritto penale è in grado di svolgere “una funzione sociale nei limiti in cui è in grado di interagire con l’ambiente attraverso la comunicazione con i (propri) destinatari”. In questa prospettiva i profili empirici dell’odierno dibattito sulla funzione della pena si allargano sino a ricomprendere l’individuazione e la valutazione dell’incidenza delle variabili da cui dipende l’efficacia generalpreventiva e le condizioni generali presupposto di tale efficacia. I problemi empirici più significativi emergono, di conseguenza, quando ci si interroghi sull’effetto intimidatorio prodottosi a seguito di una determinata scelta politico criminale. Questo in ragione della difficoltà di ponderare in che misura abbia influito sulla decisione dei potenziali autori del crimine, di astenersi dal porre in essere l’atto di reato, la minaccia della sanzione e, in che misura invece, tale scelta sia da attribuire all’azione di altre e diverse variabili. Nell’ambito del diritto penale economico e, più nello specifico, della realtà delle imprese, poi, l’importanza di includere considerazioni in tema di percezione nasce dalla consapevolezza che le misure di controllo sono spesso dimensionate sulla base della percezione del rischio reato/sanzione e sulla gestione delle conseguenze. Una diversa modalità di percezione del fenomeno criminale, dunque, può condizionare scelte e decisioni di estremo rilievo, può determinare il concreto funzionamento del sistema di controllo e può condizionare l’efficacia delle norme stesse, oltre ad influire sulle direttive di politica criminale. In questa prospettiva, l’Autrice ha cercato di ricostruire la percezione delle imprese in ordine alle norme che sanzionano le condotte devianti in tema di criminalità economica, di analizzare i casi di criminalità economica, nella fattispecie delle false comunicazioni sociali, che hanno coinvolto le aziende italiane intervistate e mettere in evidenza l’efficacia percepita delle misure di prevenzione adottate. Dalle riflessioni sviluppate emerge l’assenza di qualsivoglia efficacia deterrente della pena e di qualsivoglia portato virtuoso del precetto incapace, quest’ultimo, di comunicare il disvalore sociale iscritto nella condotta sanzionata. In conclusione l’operatore economico, in definitiva, non appare inserire tra i parametri atti a condizionare le proprie scelte d’impresa il timore della sanzione penale che non appare svolgere alcuna efficace azione di contrasto o di prevenzione alla criminalità economica.
2011
8814156689
A. ALESSANDRI
Un’indagine empirica presso il tribunale di Milano: le false comunicazioni sociali
Montani, Eleonora
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11565/3807697
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