Viviamo tempi complicati e difficili. Non solo e non tanto perché la politica sembra incapace di offrire buone risposte al Paese – e il genere burlesque risulta particolarmente indigesto a chi è impegnato seriamente per la sopravvivenza del proprio lavoro – ma forse e soprattutto perché fatichiamo – anche dal punto di vista culturale – a coniugare tradizione e futuro, ciò che sappiamo far meglio con ciò che percepiamo richiesto dai mercati, e a valorizzare gli assets di cui disponiamo – e tra questi certamente il genius loci – in una competizione che sembra sempre più avanti. L’artigianato – come soggetto umano e imprenditoriale, come comparto produttivo, come trama di relazioni che si dipartono dal territorio – rappresenta oggi uno dei terreni e dei contesti più appropriati per cogliere la direzione per costruire, la luce in fondo al tunnel, una risposta appropriata alla ricerca del nostro posto nella competizione internazionale. Al grido di «Average is over» – “ciò che è standard è superato” – proprio dall’America proviene un forte richiamo e un incitamento a non sotterrare una parte così importante del nostro DNA produttivo: il mestiere artigiano. In questo articolo una parte importante della riflessione è dedicata alle politiche, a ciò di cui ha bisogno il comparto artigiano per tornare a ben operare e prosperare, ad offrire il suo contributo al benessere economico e sociale di una molteplicità di territori. Ma per giungere a tali considerazioni preliminare risulta una discussione intorno alle declinazioni di quell’“anomalia virtuosa” rappresentata dal comparto artigiano e alla necessità di ripensare (proprio in termini di policies) ad un comparto “sinfonico”, composto cioè da una pluralità di attività che devono far parlare di “artigianati” al plurale. Come si proverà ad argomentare, non si tratta di una lunga premessa (che un lettore frettoloso sarebbe autorizzato a saltare), né di un tributo al passato. Tutt’altro, si tratta di una chiave interpretativa che aiuta a meglio declinare quelle politiche a cui è interamente dedicata la seconda parte dell’articolo.

Artigiani e politiche: una metafora dell’Italia che potrebbe farcela

BRAMANTI, ALBERTO
2012

Abstract

Viviamo tempi complicati e difficili. Non solo e non tanto perché la politica sembra incapace di offrire buone risposte al Paese – e il genere burlesque risulta particolarmente indigesto a chi è impegnato seriamente per la sopravvivenza del proprio lavoro – ma forse e soprattutto perché fatichiamo – anche dal punto di vista culturale – a coniugare tradizione e futuro, ciò che sappiamo far meglio con ciò che percepiamo richiesto dai mercati, e a valorizzare gli assets di cui disponiamo – e tra questi certamente il genius loci – in una competizione che sembra sempre più avanti. L’artigianato – come soggetto umano e imprenditoriale, come comparto produttivo, come trama di relazioni che si dipartono dal territorio – rappresenta oggi uno dei terreni e dei contesti più appropriati per cogliere la direzione per costruire, la luce in fondo al tunnel, una risposta appropriata alla ricerca del nostro posto nella competizione internazionale. Al grido di «Average is over» – “ciò che è standard è superato” – proprio dall’America proviene un forte richiamo e un incitamento a non sotterrare una parte così importante del nostro DNA produttivo: il mestiere artigiano. In questo articolo una parte importante della riflessione è dedicata alle politiche, a ciò di cui ha bisogno il comparto artigiano per tornare a ben operare e prosperare, ad offrire il suo contributo al benessere economico e sociale di una molteplicità di territori. Ma per giungere a tali considerazioni preliminare risulta una discussione intorno alle declinazioni di quell’“anomalia virtuosa” rappresentata dal comparto artigiano e alla necessità di ripensare (proprio in termini di policies) ad un comparto “sinfonico”, composto cioè da una pluralità di attività che devono far parlare di “artigianati” al plurale. Come si proverà ad argomentare, non si tratta di una lunga premessa (che un lettore frettoloso sarebbe autorizzato a saltare), né di un tributo al passato. Tutt’altro, si tratta di una chiave interpretativa che aiuta a meglio declinare quelle politiche a cui è interamente dedicata la seconda parte dell’articolo.
2012
Bramanti, Alberto
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11565/3790106
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